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Saggi di critica d'arte

261848
Cantalamessa, Giulio 50 occorrenze
  • 1890
  • Zanichelli
  • Bologna
  • critica d'arte
  • UNIFI
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Saggi di critica d'arte

Non iscrissi questi discorsi coll’intenzione di farli stampare. La scelta dei pensieri e delle frasi fu sempre consigliata dall’immaginazione, che mi

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vedendoli lontani, li giudicano stremati di forze; era ingiusto di quella ingiustizia che quasi fatalmente convien che abbiano quei grandi a cui la natura

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, quasichè le arti non fossero fatte per dir qualcosa al nostro cuore e il cuore non avesse diritto di arrecar la vampa, ond’ha potuto accendersi

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Signori, io vi chiedo che non aspettiate da me la discussione della bontà di tal concetto. Bisognerebbe eliminare molte idee che adesso la critica ha

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Guido Reni, come quegli che la fama avea sollevato di più fra tutti i secentisti d’Italia e di cui l'influenza s’era più o meno prolungata quasi a

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ramingato per la Francia, nutrendosi a stento e sempre tendendo verso l’Italia, il suo sogno, il suo delirio, ove intendea studiar molto e divenir

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contendergli quest’onore. Se poi mi si chiedesse ancora se il Francia avesse per avventura posseduto la scienza dell'arte, ossia il dominio dei mezzi

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Ma nessun di costoro vi rimase lungamente. Una doppia cagione li allontanò: la prima, il carattere stravagante ed iroso del maestro; la seconda, il

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apparizione, è evidente del pari la persistenza dei modi appresi nella prima scuola. E siccome una terza cosa vi apparisce, ossia il colore terso e fluido

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nella copia di Giovanni Viani un magro compenso. E la sua fama saliva, saliva. La caduta di Fetonte nelle case degli Zani e molto più l’Assunta pel

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rivelava la mancanza di un ideale ben determinato. Osservo che a siffatto rimprovero, se fosse giusto, forse nessun grande artista sfuggirebbe; lo stesso

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serie di cause storiche, si sentano un po’eccitati tutti; giacchè, in fondo, l’artista non è dissimile degli altri uomini se non per la sua facoltà di

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radioso di speranze che non ebbero il loro adempimento; Lippo di Dalmasio, che verso la fine di quel secolo medesimo raccoglie il retaggio giacente di

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’ingannava. Ho detto tino dei tipi, perchè io principalmente ne discerno due, ben distinti. Il primo proviene dalla Niobe, la cui testa egli doveva aver

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concepire più felice associazione della bellezza la più squisita colla virtù, un po’melliflua sì, qual piaceva in quel tempo bacchettone e galante, ma

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indeterminatezza che simula per noi un’alta idealità, Guido li escludeva per proposito. Ma certo più utili, benchè la storia non ce ne avverta, gli furono

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, ma connessi dall'unità dell’idea. Pende dall’alto un tappeto ove Cristo morto, raffigurato giacente sulla bara, dispiega la triste lividezza delle

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nella galleria vaticana è una strenua pittura in cui Guido ha muscoli e nervi titanici, e il rilievo che hanno il tronco e la testa del martire, posti

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nei più autorevoli a continuargli la stima; una nube temeraria è passata dinanzi alla divina figura; ma poi si è sciolta alla vampa di tanto sole; e l

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da Ercole Roberti chiamato da Domenico Garganelli a frescare la cappella in S. Pietro che noi invano cerchiamo? Ei vide in trono vergini non leggiadre

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La critica storica presente tende a riconoscere in Lorenzo Costa il maestro del Francia. Se la cosa è vera, bisogna ricordare che il Lanzi prima di

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Francia. Questi nel palazzo trionfa affrescando le sale superiori; il Costa dipinge le stanze terrene e la loggia che dal terzo cortile metteva al

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Si è molto ripetuto che il Francia cominciasse a dipingere a quarant’anni, e che la tavola commessagli da Bartolomeo Felicini per la chiesa della

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cui fattura non è difficile riconoscere la circospezione propria di chi maneggia da poco tempo gli strumenti dell’arte, l’incantevole timidità degl

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La mattina del 12 marzo 1460 quasi tutta la popolazione di Bologna, attratta da una pompa insolita, doveva essersi stretta nella piazza di S. Giacomo

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trecentisti, che imitarono la natura seguendo i ricordi delle impressioni ch’essa avea destate, i quattrocentisti la vollero immediata consigliera dell’opera

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quali ho dato una traccia descrittiva, alle altre opere, sempre c’è una nota fondamentale: la serenità. Naturalmente placido, ei rifuggiva per istinto

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Ma la natura di questo ingegno non sarebbe completamente definita, la misura ne sarebbe troppo vagamente limitata, se non si aggiungesse ch’ei sentì

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La vita del Francia, a quanto ci è dato conoscere, fu calma. Nessuna scossa troppo forte ne turbò mai l’andamento; nella quiete domestica egli ebbe

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l’altra composta di quelli che, dopo la breve ora della maturità, idoleggiarono un’arte tutta a ricetta, vizza e floscia quanto più volte sembrar

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della persona, era riuscito, inframettendosi tra la gente a procacciarsi un buon posto per vedere. Egli avea nel cuore la fiamma sacra dell'arte

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, giacchè ognun vede come in quel forzato adattamento la spontaneità e la freschezza dell’ispirazione dovess’essere la prima dote sacrificata. Se non si

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Raffaello, dopochè si è convenuto di chiamare raffaellisti coloro che la rappresentano) il raffaellismo, prima di cedere del tutto le armi, si rifugia a

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’Italia, salvo la veneta e la ferrarese, avrebbe, come Vestale prediletta dal Nume, mantenuto il fuoco sacro dell’arte, e i Caracci più tardi non avrebbero

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Timoteo Viti, il più gentile e intelligente tra gli allievi del Francia, perchè abbandonò Bologna fin dal 1495, e vivendo lontano modificò la maniera

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coraggio, ad indagar la giustezza dell’attribuzione, la quale è ugualmente del Ricci), il Chiodarolo sembra un pittore, non solo privo di ogni spirito di

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Ed ora lasciate, signori, ch’io chiami la vostra immaginazione a contemplare un’altra scena. Quel cumulo di meraviglie ch’era il palazzo Bentivoglio

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Giacomo Francia in tutta la vita non sembra aver avuto altra ambizione che di somigliare a suo padre. Ma non è mai avvenuto che chi parte da un

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Ad ogni modo, il primo periodo di Giacomo Francia è il più corretto. Protraendo la vita fino al 1557, egli passò noncurante, pigro, in mezzo ai

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si risolse a seguirla per aver veduto ed amorosamente, divotamente, copiato la sacra famiglia, ora gemma del museo di Napoli, allora posseduta da

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Imitando, avviene che poco o nulla è interrogata la sola legittima consigliera dell'artista: la natura; ma è interrogato sempre il concetto che nella

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Il merito dunque di questi due pittori è molto relativo. Applicare una grande dottrina senza aver la forza di abbracciarla tutta, appropriarsene

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la forza del colore avvalora; e sono pure colorite benissimo le figure dei committenti (la famiglia Parati) ivi introdotti in preghiera. Innocenzo ha l

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Abbiamo in Bologna un bel documento di quel ch’era Innocenzo prima di diventare raffaellesco. È una Risurrezione dipinta in affresco sopra la porta

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giacenti in terra, si è ricordato della bellissima Pace del Francia, ov’è niellato lo stessosoggetto. E un affresco pregevolissimo per la spontaneità delle

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Innocenzo e con Amico Aspertini; ma, dice il Vasari, la maniera del Bagnacavallo fu giudicata la più dolce e sicura. Sfigurati dal restauro (meglio sarebbe

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Terrò parola, prima di chiudere questo discorso, di due altri allievi del Francia, che secondarono con meno ingegno la corrente del raffaellismo

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L’altro di cui mi resta a parlare è Biagio Pupini, detto Biagio dalle Lamme, la cui adesione ai raffaellisti non cancellò la sua provenienza dal

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quali, nonchè conosciuto il grand’uomo, non avevano neppur visitato Roma. La stessa antichissima arte bolognese della miniatura sente questa influenza

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Perchè dunque ora permetto la stampa di questi discorsi? C’è talora intorno a noi qualcosa di energico onde la nostra volontà è menomata od affatto

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